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SPERARE CON LA VALIGIA IN MANO

Scrivo questo articolo sul treno che mi sta riportando in quella che, da poco meno di tre mesi, è diventata la mia nuova casa. L’ennesima, mi verrebbe da dire; la settima (forse), se “casa” è un posto nel quale si vive con una certa regolarità. È mattino, e pensando al conto che ho appena fatto per qualcuno lo sono anche io: un piccolo matto. Un velocissimo riassunto: sono nato e cresciuto a Potenza, in Basilicata, ho frequentato la triennale a Napoli e la magistrale a Parma. Per completare, due Erasmus: in Francia e in Scozia. Oggi vivo a Prato e sono un ricercatore per l’Università di Firenze. In questo weekend mi sono concesso una veloce capatina a Casa (con la “c” maiuscola) per partecipare a Gioco d’incastri, l’incontro regionale per i vice e i membri di équipe del settore Giovani. È l’ennesima conferma che in questi ultimi anni la mia vita è diventata esattamente questo: una corsa ad incastrare la miriade di cose che voglio fare. E di questo sono più che grato!

Non è stato facile tenere tutto insieme…

Mi è stato domandato cosa significhi “sperare”, in un mondo che ci costringe a partire… la domanda mi devasta (cit.). Eppure io è da tempo che parto, torno e poi riparto di nuovo. Tutto è iniziato con l’università, siccome in città non c’era la facoltà che mi interessava. In un certo senso sono stato “costretto” a partire. La speranza offertami dalla vita che ritenevo più adatta a me, non mi ha lasciato molta scelta. Si trattava di una speranza nella felicità. Ad essere sincero, sogni e ambizioni lavorative non ne avevo. Fortunatamente Napoli e Potenza sono a due ore di autobus, quindi ogni fine settimana potevo tornare a casa. E allora via di incontro ACR, gruppo educatori, uscite con gli amici. Come se non bastasse, una relazione a distanza in una terza città. Non è stato facile tenere tutto insieme, e con gli anni e l’allontanamento ancora maggiore per la magistrale a Parma (ad 800 km da casa) molti rapporti sono cambiati e alcuni sono stati recisi. Anche in quel caso sono stato costretto a partire. Anche in quel caso ero stato animato dalla speranza di aver fatto la scelta giusta per la mia vita. Di nuovo, non avevo un sogno da rincorrere se non quello della felicità.

Non si tratta di fuggire, ma poterci riprovare

Il più delle volte la tua vita da fuorisede viene decisa il primo giorno di università. Entri in aula, ti guardi intorno, e nei volti sconosciuti speri di scovare un segnale che ti faccia presagire una qualche intesa. Se sei fortunato qualcuno sta indossando la maglia di quella band che proprio non ti piace o di un film mediocre, così l’equazione perde un termine. Gli amici che mi hanno accompagnato nei due anni di magistrale sono persone talmente ai miei antipodi che nemmeno provandoci sarei riuscito ad assortire un gruppo migliore. MI hanno dato tanto, continuano e continueranno a farlo. Sicuramente il genere di persone che non avrei scelto, ma certamente quelle che non cambierei mai.

Infine, i due Erasmus: così brevi e così intensi! A quel punto non ho scelto di partire per costrizione, ma per il puro gusto di farlo. Con queste due ultime esperienze penso di aver cementificato la consapevolezza che ho di me. Quando inizi una nuova fase di vita nessuno ti conosce e nessuno ha aspettative; cerchi di essere la miglior versione di te fin da subito, consapevole di avere tra le mani la possibilità di un reset. Non si tratta di fuggire dal proprio passato o dai propri errori, ma della consapevolezza di poterci riprovare e fare sempre meglio. Di sbandate ne ho avute eccome, purtroppo e per fortuna. Se non mi fossi lanciato in questo genere di esperienze avrei una considerazione di me completamente differente. Non necessariamente migliore o peggiore, solo diversa.

La speranza è che le persone non si tradiscano cercando di tradursi

A vivere contesti diversi ci si sente un po’ frammentati ed è naturale che tutte le nostre sfaccettature non escano fuori allo stesso modo. Forse non è stato tanto il mondo ad avermi “costretto” a partire, quanto i miei interessi, che sono parte di me. Il mondo in cui casualmente mi sono trovato a vivere mi ha permesso, grazie alle borse di studio, di aumentare le possibilità a mia disposizione; mi sembra tutto fuorché una costrizione! I confini del mondo si sono allargati e con loro le possibilità che possiamo cogliere. La vastità che possiamo esplorare può farci paura, ed è innegabile il rischio di perdersi al suo interno. In un mondo come questo, per me la speranza è che le persone non si tradiscano cercando di tradursi. La tentazione di lasciarsi andare nascondendosi nella convinzione di star solamente vivendo delle parentesi di vita giovanile è allettante, ma non è così che funziona. Le esperienze che viviamo e le relative conseguenze, circoscritte o meno, ci riguarderanno sempre.

Dopo aver assaggiato tanti pezzettini di mondo, ad oggi continuo a non avere un sogno da inseguire e dove mi porterà la vita ancora non lo so. Per ora mi lascio cullare: sentire un vento che mi spinge e mi accompagna è così rassicurante! Chissà se un giorno arriverò anche io a dire “sono tornato”.

(*) membro dell’équipe nazionale del Settore giovani di Azione cattolica

Articolo pubblicato su Agensir.it il 13 maggio 2025

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