OMELIA IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEI COMUNICATORI E GIORNALISTI DELLA REGIONE BASILICATA

Il mio saluto e quello delle Chiese di Basilicata ai Giornalisti e Comunicatori della nostra Regione e agli illustri ospiti convenuti in questo momento, che ci vede insieme pellegrini di speranza. Comunicare ha a che fare con amare. Chi è chiamato a questo alto sevizio culturale, carico di umanità, ha nelle radici della sua vocazione il concetto biblico di conoscenza, che è amore per ciò che si è e per ciò che si dona. I presupposti del dono della comunicazione hanno la loro origine in quella intelligenza affettiva che mette insieme i fatti con il cuore, le interpretazioni con la verità, la conoscenza con la carità. Questa responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”, orientata al Vangelo, mette in guardia, come sottolineava Papa Francesco nel suo messaggio per la 59ma giornata delle Comunicazioni Sociali, dai rischi segnalati in questo tempo complesso in: “deformazioni”; “polarizzazioni”; “poteri di controllo”. Essere “comunicatori di speranza” garantisce una partenza con il piede giusto, per divenire pellegrini dentro i fatti che raccontano l’uomo e la società del nostro tempo. Sappiamo come una comunicazione che “non è generatrice di speranza”, conduce il suo servizio dalla paura all’odio. Da qui come ribadito in questi giorni da Papa Leone XIV, occorre disarmare le parole e persino il cuore se si vuole servire la verità. D’altronde la comunicazione in balia delle scelte digitali e di AI, rischia di rispondere a quelle “logiche di mercato” che tendono a generare nemici e a misconoscere la dignità dell’altro. Così forme di bullismo mediatico e comunicazioni pregiudiziali, offuscano la speranza di chi trasmette e spengono quella di chi ascolta. Tuttavia, per i cristiani, la speranza non è opzionale, ma è “condizione imprescindibile” per la quale occorre dare ragione, perché “ha il volto del Cristo risorto”. Oggi più che mai quanti operano nell’ambito della comunicazione hanno bisogno di farsi “compagni di strada”, coltivando relazioni amiche, generando empatia, prendendosi cura dell’uomo e della nostra casa comune.
E’ la via, ci viene indicata dal Vangelo delle Beatitudini, una parola programmatica che comunica all’uomo di ogni tempo chi è Gesù di Nazaret e quale volto deve avere il suo discepolo nel tempo. Sono i tratti dell’umanità che risplende di Dio, che si fa piccolo e povero, che ha sete e fame, che piange, che ama con un cuore mite e misericordioso, che ha uno sguardo di libertà che indica le strade della pace. E’ proprio questa beatitudine che Papa Leone ha indicato nel recente dialogo, con quanti operano nel mondo della comunicazione. “Beati gli operatori di pace”. Si tratta di una via concreta per un rinnovamento dei mondi della comunicazione. Non si tratta solo di trasmettere informazioni, ma di produrre modelli culturali che sono generativi, che rafforzano l’intelligenza e il cuore. La delicata tessitura della pace, il suo artigianato, comincia proprio dalla parola che è veicolo dell’umano e per noi cristiani del divino. Ma questa pace noi la riceviamo in dono da colui che ne è l’autore. La sera prima di morire nel cenacolo, Gesù indirizza i suoi discepoli verso questo dono, che servirà a tenere la loro unità, nonostante il dramma della dispersione e della divisione. “Vi lascio la pace vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la dono a voi”. L’insistenza sulla parola dono in quel contesto, richiama il dono della vita, il modo con cui l’amore vero sostiene le cose. Se potessimo trasmettere questo amore, ha ricordato Papa Leone nella messa di inizio del ministero petrino, le situazioni odierne, cariche di odio e di violenza, cambierebbero in un istante. Questo ci fa comprendere come spetta a noi rispondere al dono della pace che viene dall’alto e non è figlia dei compromessi che vengono dal mondo. L’altro aspetto che prevale in questo testo programmatico del Vangelo è la felicità. Il termine greco Makarios da cui beato, felice, ha a che fare con il tempo, ma non quello che passa inesorabile, che ci rende tristi perché destinati alla fine, ma il tempo delle opportunità: Kairos appunto, il tempo della felicità che vorremmo non finisse mai. Qui si innesta la speranza cristiana che è tensione verso l’impossibile. Sant’Agostino traduce questa esperienza spirituale in una espressione latina: Raptim, per indicare la velocità e la puntualità con cui avviene l’intervento divino nella vita dell’uomo. Vi invito a gustare la gioia del vostro servizio anche quando è difficile, anche quando costa scegliere per il bene e non per l’opportuno.
Carissimi Amici Comunicatori e Giornalisti, questo tempo che trascorriamo insieme nell’ascolto e nella preghiera, possa aiutarci a rimettere insieme i pezzi di una comunicazione generativa, che aiuta a pensare e ad amare questo nostro tempo non come la trappola delle idee, ma come squarcio orizzontale e verticale sul nuovo che appare.