OMELIA MARTEDÌ SANTO IN OCCASIONE DELLA MESSA PASQUALE INTERFORZE

Signori Comandanti e Ufficiali, uomini e donne delle Forze armate, Autorità civili, Rappresentanti delle Associazioni combattenti e d’arma, fratelli e sorelle. Il Signore vi conceda pace e vi ispiri un cuore docile al servizio del bene che scaturisce dall’ascolto di Dio e dell’uomo.
I giorni santi che la Chiesa vive in questa settimana, aprono il cuore all’ascolto. Ed è proprio la Parola di Dio che permette al nostro cuore e all’intelligenza della fede di entrare dentro i giorni pasquali di Gesù, morto e risorto per noi. Questo Vangelo, che è buona notizia, la Chiesa non si stanca di proclamarlo su comando del suo Maestro e Signore, generando ancora testimoni di speranza. Questa nostra terra, tormentata dall’odio e dalla divisione, dalle ferite esistenziali e dalla guerra, sembra sottoscrivere il suo inesorabile protagonismo violento, con le conseguenze ineluttabili di odio e distruzione. Negli eventi pasquali e sulla sorte terrena di Gesù, troviamo incarnato tutto l’odio del mondo e il male che sugella ogni divisione del cuore umano. Ma Dio non lascia i suoi figli senza la sua voce autorevole e decisiva. C’è una parola, ricorda l’antico profeta Isaia, consegnata al misterioso Servo di Dio, figura messianica di Gesù; parola, che è affilata come un’arma, appuntita come la lancia nella faretra. Queste espressioni mutuate dal linguaggio delle armi, a voi ben noto, richiama l’azione penetrante e pervasiva della Parola di Dio, capace di entrare nel cuore umano, custode della vita e delle decisioni fattive. Gesù viene presentato così nei Vangeli. Protagonista di una parola capace di radicare Dio nell’uomo, facendo appello alla salvezza che scaturisce dal dono di sé. Questa prospettiva del dono gratuito, liberale e profondamente legato alla volontà del Padre, la Chiesa contempla e vive nei giorni della Pasqua.
Le ultime ore terrene del Figlio di Dio sono segnate dall’umano tradimento. Sono proprio i più vicini, coloro che hanno condiviso con lui l’esistenza, i primi a compiere questo gesto che non impedisce il divino disegno della consegna di Gesù nelle mani degli uomini. Il tradimento di Giuda è umanamente riprovevole perché compiuto nel contesto della cena conviviale e della lavanda dei piedi. Gesù lascia fare perché si compia in lui la parola del Padre. In quella sera di profonda intimità e di condivisione dei gesti della più alta amicizia umana e spirituale, si realizzano quelle fragili e condizionate scelte dell’umano. Così da sempre è considerato il tradimento: allontanamento, morte dell’amicizia, solitudine delle relazioni. Ma nel contesto pasquale al tradimento degli amici, Gesù ha una consegna spiazzante: l’amore, il suo. Un amore che arriva fino in fondo, fino al dono estremo di sé. Questo linguaggio nuovo, inaspettato, diventa la regola di vita di quella comunità sparuta e sperduta che è all’origine della Chiesa. Un drappello di uomini e di donne che hanno davanti a loro l’esempio di chi lava i piedi persino a chi lo tradisce e che offre il boccone del pane a chi lo consegna (tradere) nelle mani dei carnefici. Non è una storia di tradimento, di cui sono piene le pagine della letteratura. La pagina giovannea ricorda che Dio è disponibile davanti ai nostri vuoti di senso, alle nostre paure, ai nostri tradimenti. La notte pasquale lascia intravedere uno spazio di intima umanità: un capo chinato sul petto di Gesù, per capire non con la testa, ma con il cuore, come sono amato e come devo amare il mio prossimo. Pietro chiede a Giovanni, il più vicino al Maestro quella sera, chi è che lo tradisce. Pietro non ha il coraggio di domandare direttamente. Ma avrà il coraggio di dimostrare a Gesù che lo difenderà fino alla morte, che addirittura morirà per lui. Pietro, spavaldo, ricorda un po’ tutti noi che ci armiamo di sicurezze, mentre difronte alle nostre paure dovremmo solo fidarci e affidarci. Ma quella di Pietro sarà un’altra storia che terminerà nel dono di sé, dopo aver capito e seguito il suo Maestro. Non così per il povero nostro fratello Giuda, che rimase sospeso nel suo disegno, prigioniero della sua idea di Dio e dell’uomo e terminò con il fallimento della sua esistenza. Preferisco una Chiesa ferita, minoritaria che una Chiesa potente e che conta secondo le logiche di questo mondo, torna a ripetere nel suo pontificato Papa Francesco: malato, sofferente, ma sempre testimone del Vangelo di Speranza. Preferisco una Chiesa ospedale da campo, capace di accogliere tutti i fallimenti del cuore umano. Nell’abbraccio del risorto, ci sarebbe stato posto anche per Giuda, come ce ne fu per Pietro e per gli altri discepoli smarriti nella notte della Pasqua. Il Signore c’insegni ad avere più paura di una vita sbagliata più che della nostra morte. A temere una vita vuota e inutile, che quell’ultimo passaggio, Pasqua appunto, che ci aggrappa al cuore di Dio.