LA FALSA QUESTIONE DELLA DISTINZIONE TRA OPINIONE PERSONALE E MAGISTERO
Può davvero esistere una differenza sostanziale tra il pensiero e la vita di un cristiano, il suo modo di esprimersi e il Vangelo che la Chiesa, per mandato del Signore, annuncia e interpreta autenticamente? Sarebbe corretto parlare di una “legittima” diversità o addirittura contrapposizione tra le idee personali e gli insegnamenti del Magistero?
Per un cattolico, questa è una questione mal posta. L’idea di un’opposizione tra opinione personale e Magistero non solo mina la libertà della scelta fondamentale che definisce l’identità cristiana, ma mette a rischio la coerenza dell’esistenza stessa del credente. Per un ministro ordinato, tale posizione appare persino autolesionista: l’ordinazione non è un mero conferimento di incarichi, ma un sacramento che imprime un carattere indelebile, conformando il ministro a Cristo, Servo e Maestro. Questo lo rende testimone privilegiato della verità della fede e garante della comunione ecclesiale.
Tuttavia, viviamo in una cultura che spesso rifiuta pensieri radicati e strutturati, preferendo opinioni fluttuanti e volubili. Questo clima di relativismo, che esalta il cambiamento umorale come presunta autenticità, genera confusione e ostacola il dialogo. In realtà, chi manca di un criterio di giudizio oggettivo, per il cristiano rappresentato da Cristo stesso, si smarrisce in una continua instabilità e frammentazione.
Per questo, la libertà di un cattolico, e ancor più di un ministro ordinato, non consiste nell’essere una bandiera che si piega ai venti delle mode culturali o dell’opinione pubblica, ma trova radice nella fedeltà alla propria vocazione. Accogliere il Vangelo e aderire al Magistero non limita la libertà personale, ma la realizza pienamente. Come dice il Vangelo di Giovanni: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32).
La vera libertà cristiana, dunque, non si misura nella capacità di esprimere idee personali scollegate dalla comunione ecclesiale, ma nella fedeltà al Vangelo e al Magistero. Questa fedeltà non è una mera adesione formale, ma una scelta consapevole e libera che riflette l’identità più profonda del credente e il senso stesso della sua libertà.
Il Magistero della Chiesa non è un’opinione tra le tante, ma l’autentica espressione della fede trasmessa dagli apostoli. Ogni opinione personale che si discosti da questo insegnamento rischia di creare confusione nei fedeli e di tradire la missione del ministro ordinato: essere eco fedele della Parola di Dio e custode dell’unità.
La libertà cristiana, anche nell’esprimere opinioni, non è arbitrio, ma adesione alla verità. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi” (CCC 1733). Cristo stesso afferma: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). La libertà trova il suo compimento nella fedeltà al Vangelo, non nella sua opposizione.
Il Magistero, autorità insegnante dei Vescovi in comunione con il Papa, è il garante dell’unità della fede e della sua interpretazione autentica. Come ricorda il Concilio Vaticano II: “Il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio è affidato al Magistero vivo della Chiesa” (Dei Verbum, 10).
Per i fedeli e, a maggior ragione, per i ministri ordinati, la libertà di opinione è un diritto, ma deve essere esercitata nel rispetto della fede e dell’unità ecclesiale. Il Codice di Diritto Canonico (can. 212, §3) lo ribadisce: l’opinione dei fedeli deve essere espressa “sempre nel rispetto della fede e dei costumi, e con deferenza verso i pastori”.
Essere fedeli al Magistero, dunque, non è una rinuncia alla libertà, ma una chiamata a vivere nella verità. Come scrive San Paolo: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor 3,17). Questo vale per ogni cristiano, ma ancor più per i ministri ordinati, chiamati a essere “servi della verità”.
In definitiva, libertà e adesione al Magistero non sono in contrasto, ma convergono nella fedeltà a Cristo. Per i cattolici, e in particolare per i ministri, la vera libertà si manifesta nella coerenza con il Vangelo e nella piena comunione con la Chiesa. È, dunque, questione di fedeltà a se stessi, una fedeltà che se non cercata e custodita diventa tradimento concreto alla propria persona.
C’è infine una questione di stile. Il cattolico, che ha il dovere di comunicare e testimoniare la fede anche attraverso i mezzi di comunicazione che la moderna tecnologia mette a disposizione, non può rinunciale alla misericordia del linguaggio, alla centralità del fatto che racconta a favore di particolari che sollecitano più la curiosità morbosa o il gossip, ma deve parlare, o scrivere, con il cuore e al cuore.
In fondo è quello che ha fatto per primo Gesù con ciascun uomo.