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IL SUICIDIO NON E’ MAI UN BENE

Si sta intensificando in queste settimane il dibattito, ad ogni livello, sul tema del fine vita in relazione alla possibilità di una legge sul suicidio assistito. L’accellerazione della discussione, anche parlamentare, è stata certamente indotta dall’attivismo dell’Associazione Coscioni e alle sue proposte di leggi regionali, che hanno avuto un primo successo nella regione Toscana, in conseguenza del quale è avvenuto il primo caso italiano di suicidio assistito. Ora si discute di una legge nazionale, diversamente interpretata tra chi naturalmente vorrebbe sancire un diritto a morire (che neanche la Corte costituzionale ha mai dichiarato) e chi vorrebbe attenersi rigorosamente ai criteri della Corte costituzionale, riconoscendo un perimetro di non punibilità dell’aiuto al suicidio assistito senza promuovere un diritto a morire, anche per evitare un far-west legislativo regionale. Quello che a me pare piuttosto assente in questo dibattito, dai talk-show televisivi ai giornali fino ai partiti e al Parlamento, è il tema di che cosa davvero serve ed è richiesto dai malati e dalle loro famiglie per vivere un percorso di fine vita dignitoso, non sofferto, in cui si abbia un adeguato supporto dal SSN, creato, ricordiamolo, nel 1978 per assicurare cure a tutti e in tutte le circostanze e in tutte le fasi di malattia. La medicina moderna ha favorito lo sviluppo delle Cure palliative proprio per rispondere alle esigenze e ai bisogni di quei malati per i quali la guarigione non è più possibile e per i quali si prospetta un percorso di convivenza con la malattia e i suoi disagi, fino alla fase di fine vita vero e proprio. E quali sono queste esigenze e questi bisogni? Anzitutto di non essere abbandonati e di trovare equipe socio-sanitarie in grado di farsi carico di tutto il periodo di questo percorso, che può essere breve o più lungo. E questa risposta la danno proprio le Cure palliative, con le varie figura professionali (dai medici agli infermieri e gli Oss, dagli psicologi agli assistenti sociali e spirituali, ai volontari), in diversi contesti di cura (anzitutto e soprattutto il domicilio, ma anche gli Hospice e qualunque luogo veda presenti queste persone che vivono l’esperienza di una malattia inguaribile), coinvolgendo anche la comunità in uno sforzo sussidiario e solidaristico che esprime le migliori risorse di un popolo e di una nazione. Le Cure palliative, oggi diventate una vera e propria disciplina scientifica, con tanto di scuola di specializzazione medica, offrono la possibilità di poter affrontare difficili percorsi di malattia (e quali non lo sono?) con a fianco persone pronte a rispondere sempre ai bisogni che via via si manifestano, dal controllo del dolore e dei sintomi fisici che ogni malattia porta con sé, al supporto psicologico che permette di trovare un nuovo equilibrio e di riconquistarlo se perduto, nella relazione con se stessi e con gli altri, a partire dai propri familiari, cercando di dare un nuovo significato e senso alla propria vita, pur malata, e soprattutto di conservare la dignità (che non deve essere una caratteristica della morte, ma della vita!). E poi il supporto spirituale, che non è solo quello religioso, ma piuttosto un accompagnamento ad aprirsi a prospettive che trascendono la fisicità, la temporalità, non negando ma accogliendo l’insopprimibile desiderio di felicità che è di ogni uomo e che la malattia e la morte vorrebbero toglierci. Victor Frankl, psichiatra austriaco sopravvissuto a quattro campi di concentramento nazisti, e poi fondatore della logoterapia, diceva, in base alla sua esperienza, molto simile a quella di una malattia inguaribile, che “se si trova un perché si può sopportare qualsiasi come”. Infine non secondario è il supporto sociale, in un tempo storico in cui l’andamento demografico è altamente sfavorevole per garantire un’adeguata assistenza ai propri cari malati, per via di famiglie sempre più nucleari, oltre che di condizioni anche relative di povertà; perciò necessita cercare soluzioni che supportino l’assistenza alla persona, anche pensando a nuove figure professionali, pensare ad ampliare i posti letto negli Hospice o in strutture dove accogliere pazienti senza un adeguato supporto familiare. A questo si aggiunga la ricchezza delle associazioni di volontariato che dappertutto supportano le Cure palliative, anche garantendo attività occupazionali che riempiono la vita nel periodo della malattia. A tal proposito mi permetto di citare queste parole di S., una recente ospite del nostro Hospice: “Non capisco perché restano tutti strabiliati quando racconto che in Hospice abbiamo visto un film come se fossimo al drive-in con tanto di popcorn, assistito ad un concerto, passato un pomeriggio a cantare canzoni con il giradischi o partecipato ad un tisana-party. C’è tanta vita in Hospice, grazie a chi tutti i giorni va oltre il suo dovere”.
Per questo penso talvolta che sia surreale il dibattito sul fine vita centrato solo sul suicidio assistito, come se fosse quello che tutti aspettano, come “le magnifiche sorti e progressive”. Il “fine vita” (nel suo senso più ampio) va “curato” da una buona Medicina, soprattutto quella palliativa; la vita nella malattia, e anche verso la sua fine, può essere una buona vita, se riceve tutto il supporto che ho cercato di descrivere e che rappresenta anche la mia personale, lunga, esperienza professionale, nella quale di migliaia di pazienti seguiti nessuno ha mai fatto richiesta di suicidio assistito. Il suicidio invece non è un bene, non va incentivato, non va garantito, tanto meno da una legge, va scongiurato facendoci carico, come società intera, ognuno per la sua parte, dei bisogni degli altri, spendendo la nostra vita per quella degli altri, soprattutto quando sono nella difficoltà e nella sofferenza. Non spingiamo giù dal parapetto chi sta pensando di farlo, ma prendiamolo con noi e camminiamo insieme, dando risposte concrete ai suoi bisogni.


Marcello Ricciuti
Direttore UOC Hospice e Cure palliative
Azienda Ospedaliera S. Carlo Potenza
Comitato Nazionale per la Bioetica

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